La memoria in marcia
Sono trascorsi quasi 20 anni dal 23 maggio del 1992 in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro , Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
Da allora parole come mafia e legalità non sono più un tabù, sono entrate a far parte del linguaggio quotidiano e via via sono anche diventate patrimonio comune. Ormai sembra quasi che la mafia sia diventata un lontano ricordo. Ma non è così, non è vero. Continua ad ammorbare ogni giorno l’aria che respiriamo in modi e forme più o meno evidenti, negli atteggiamenti che purtroppo sono ancora da “malacarne”, nelle piccole o grandi illegalità che quotidianamente si consumano nella nostra terra e che sono ancora un retaggio evidente delle logiche di Cosa Nostra.
La mafia non è soltanto Matteo Messina Denaro, i capimafia più conosciuti e i grandi sistemi criminali. E’ anche e soprattutto l’estorsore che vuole uccidere l’economia sana e pulita chiedendo il pizzo, la prepotenza e l’arroganza di chi pensa che tutto gli sia consentito, il mettere la testa sotto la sabbia dinanzi ai soprusi ed alle illegalità, con la convinzione che “è così che va il mondo”.
A Palermo ci sono i mafiosi ma ci sono anche e soprattutto le persone perbene. Sono quelle che hanno partecipato in massa ai funerali delle vittime della strage di Capaci, che hanno gridato la loro indignazione, la loro vergogna, il loro anelito di libertà da Cosa Nostra. Negli anni la partecipazione della parte migliore della nostra terra alle manifestazioni contro la Mafia si è affievolita. Non è venuta meno la voglia dell’impegno civile, forse ci si è solo stufati di eventi più di facciata che di sostanza, che servono solo ad accendere i riflettori per breve tempo su Cosa Nostra e talvolta a dare visibilità all’uomo o alla donna più in vista del momento.
Ma c’è di più. Per molti di noi questa pagina buia della storia italiana e siciliana è anche un pezzo di vissuto, una parte della propria vita, un evento che ci ha segnato e cambiato. Ma per le nuove generazioni non è così. Una ragazza o un ragazzo di vent’anni non lo conoscono come vissuto. Per loro è un evento della passato, della “storia”. Recente ma pur sempre storia. Occorre, allora, non soltanto la manifestazione di facciata, l’evento organizzato per le scuole al quale i ragazzi e bambini partecipano così come potrebbero partecipare a un evento letto sui libri, raccontato dagli insegnanti. Serve partecipazione attiva di tutti, serve una memoria da tramandare nel tempo non solo come un capitolo di storia ma caricandola di tutte le emozioni che ognuno di noi, poliziotto o magistrato, giornalista o cittadino, hanno vissuto e continuano a rivivere ogni anno.
E’ ora di tornare a metterci la faccia, riappropriandosi del proprio diritto, da singolo cittadino, di urlare il proprio disgusto verso la mafia e verso i modi di essere mafiosi. Dobbiamo avere uno scatto d’orgoglio e dire che ciascuno di noi ricorda e compie, nel proprio piccolo, atti di “quotidiano eroismo” per dire che la mafia è “una montagna di merda” (Peppino Impastato cit.).
Quest’anno l’associazione “Quarto Savona Quindici” (il nome in codice della squadra a cui era assegnata la tutela di Giovanni Falcone), presieduta da Tina Montinaro, vedova di Antonio, il caposcorta del giudice ucciso, sta organizzando una catena umana che partirà dall’aeroporto la mattina del 23 maggio e si snoderà lungo l’autostrada Mazara Del Vallo-Palermo per concludersi alle 17.58, ora in cui avvenne la strage. Ognuno di voi può dare il proprio contributo in qualsiasi forma per testimoniare che basta poco per essere “Capaci”. La manifestazione non sarà appannaggio di pochi, ma di tutte le persone perbene che vogliono ricordare momenti bui della nostra storia e riaffermare la speranza in un domani migliore. Non ci saranno etichette di alcun genere, risultati personali da conseguire o interessi speculativi da rincorrere. La catena umana sarà di ciascuno di noi.
“Chi fa questo lavoro ha capacità di scegliere fra la paura e la vigliaccheria. La paura è qualcosa che tutti abbiamo. E’ la vigliaccheria che non si capisce. Io, come tutti gli uomini, ho paura ma non sono un vigliacco”. (Tratto da un’intervista ad Antonio Montinaro, caposcorta di Giovanni Falcone, ucciso, a 29 anni, il 23 maggio 1992)