Il commissario trevigliese Murtas ricorda Antonio Montinaro, ucciso con la scorta di Falcone
In occasione della Giornata nazionale contro tutte le mafie la città di Treviglio ha deciso di ricordare l'eroico poliziotto dedicando a lui il passaggio tra gli istituti Simone Weil e Zenale e Butinone.
Un collega ma soprattutto un amico, cosi il commissario di Treviglio Angelo Lino Murtas, vice questore aggiunto e capo della Polizia di Stato trevigliese ricorda Antonio Montinaro, ucciso dalla mafia nella strage contro il giudice Giovanni Falcone nel lontano 1992 a Capaci.
Un rapporto, il loro, nato nell’ambito lavorativo, quando i due collaboravano fianco a fianco alla Questura di Bergamo, che da subito si era trasformato in una grande amicizia.
In occasione della Giornata nazionale contro tutte le mafie, organizzata dall’Associazione Libera che si è tenuta per tutta la provincia di Bergamo martedì 21 marzo con un corteo da Caravaggio a Treviglio a cui hanno partecipato 2mila persone tra studenti e cittadini, la città di Treviglio su forte richiesta dello stesso Murtas ha deciso di ricordare l’eroico poliziotto dedicando a lui il passaggio – tra gli istituti Simone Weil e Zenale e Butinone – insediando un cippo con una lapide commemorativa in cui è incisa una poesia dedicata ad Antonio e scritta di proprio pugno dallo stesso amico Angelo Lino Murtas.
Durante la commemorazione, a cui erano presenti la vedova Tina Montinaro venuta da Palermo, tutte le autorità e gli esponenti provinciali di Libera contro le Mafie, un commosso Murtas ha decantato i versi dedicati all’amico e ha raccontato aneddoti legati alla loro amicizia.
“Era il 15 ottobre 1984 – racconta Angelo Lino Murtas – io ero stato assegnato a Bergamo ed ero appena arrivato con la mia macchina. Mi ero recato alla caserma ‘Antonio Custra’ della Polizia di Stato che all’epoca si trovava in via Adeodato Bossi nel quartiere Monterosso. Mi ero messo a scaricare i bagagli davanti alla caserma e vidi questo ragazzo, alto e magro, che si trovava all’ingresso. Chiesi a lui dove si trovassero le camerate e mi rispose che non lo sapeva perché era appena arrivato pure lui. Ci siamo allora fatti una risata insieme e ci siamo presentati. Mi disse che si chiamava Antonio Montinaro. Da li iniziammo a parlare stringendo subito amicizia, tant’è che la sera stessa uscimmo a vedere Bergamo e Città Alta. Da quel giorno nacque un bellissimo rapporto che non si è mai interrotto”.
Il Commissario Murtas ebbe la fortuna di passare ben quattro anni della sua vita con Antonio, lavorando fianco a fianco per servire lo Stato che tanto amavano. I primi due anni Montinaro rimase stabile in servizio alla Questura di Bergamo mentre i restanti anni fece spesso da spola, su sua precisa richiesta, tra Bergamo e Palermo per partecipare in modo attivo ai servizi di vigilanza al Maxi Processo e ad operazioni antimafia che in quel periodo erano all’ordine del giorno in Sicilia a causa del “boom” della criminalità organizzata che in quegli anni imperversava nella regione.
“Nel 1986 (da Palermo, ndr) iniziarono a chiedere delle aggregazioni – c’era richiesta di personale disponibile ad andare fino a Palermo dove si stava affrontando il maxi processo alla mafia e Antonio accettò, e viste le sue spiccate capacità professionali, aveva iniziato già da subito a fare le prime scorte al giudice Falcone. Anche io volevo andare, ma in quel momento non c’erano posti liberi per il mio ruolo. Antonio faceva tre mesi a Palermo e poi per altri tre mesi tornava qui a Bergamo e cosi via fino a quando conobbe in Sicilia una ragazza, Tina, che sarebbe diventata poi in seguito sua moglie e con cui ebbe due figli; dopo un periodo di spola Antonio decise di chiedere il trasferimento definitivo per poter rimanere vicino alla sua donna, e poter lavorare con la persona che ammirava di più: il giudice Falcone, appunto”.
L’amicizia con Murtas rimase immutata fino a quel fatidico 23 maggio 1992.
“Ricordo quel giorno come fosse oggi – afferma un commosso Murtas – c’è un aneddoto di cui non parlo mai. Quel giorno ero di riposo e mi stavo recando a Brusaporto proprio in quei momenti in cui poi si scoprì che si stava compiendo la strage di Capaci. Mi trovavo sulla mia auto sulla strada che da Seriate porta a Bagnatica. Una Peugeot impegnata in un sorpasso azzardato di colpo investì una vecchia Fiat 500 sulla corsia opposta. L’urto fu violentissimo e le macchine si erano addirittura accartocciate, la 500, che aveva il serbatoio davanti, perdeva molta benzina che si riversava nell’abitacolo. Mi fermai all’istante e corsi subito a soccorrere i feriti. Sulla Peugeot un signore che nonostante le ferite non si trovava in pericolo di vita. Sulla Fiat 500 madre e figlia, prive di sensi, pesantemente ferite e con il pericolo di un probabile incendio. Aprii subito la portiera per metterle in salvo e portai velocemente la passeggera, a distanza distendendola per terra per rianimarla. All’inizio del massaggio cardiaco fortunatamente la giovane si riprese. Scoprii poi che aveva 14 anni e si chiamava Patrizia Melpignano“.
“Rientrai allora subito nell’abitacolo per estrarre anche la madre incastrata tra le lamiere alla guida, ma la sua situazione era davvero drammatica. La donna era incastrata con le gambe tra le lamiere e non riuscivo a tirarla fuori. Ad un certo punto sembrava riprendere coscienza e mi guardava con gli occhi pieni di dolore come a chiedermi aiuto, aumentavo allora i miei sforzi e cercavo di confortarla dicendo che sarei riuscito sicuramente a salvarla, dopo pochi minuti però, poco prima che arrivassero i Vigili del Fuoco, di colpo mi fisso e spirò li tra le mie braccia mentre tentavo ancora di tirarla fuori. Con l’arrivo dei Vigili del Fuoco e della Polizia Stradale riuscimmo a liberare finalmente le gambe e a portarla fuori, ma era ormai troppo tardi. Ho saputo che si chiamava Giovanna Ricca ed aveva 45 anni ed un secondo figlio che l’aspettava a casa. L’ambulanza portò via madre e figlia. Una purtroppo morta, ma l’altra fortunatamente viva”.
“Terribile la sensazione che provai cosi come terribili furono le urla strazianti che durante le operazioni sentivo provenire dal bar Venus lì di fronte a pochi metri dove il marito aveva assistito al terribile scontro perché aspettava davanti al bar proprio l’arrivo della moglie e della figlia in macchina. Tornai alla mia auto, dentro di me sensazioni indescrivibili, da una parte il dolore per non essere riuscito a salvare una persona, dall’altra la gioia di aver salvato una vita così giovane. La radio era accesa e sentii quella frase: ‘Attentato a Palermo, vittima il giudice Falcone e la sua scorta’. Pensai subito ad Antonio, nella speranza che non fosse di turno. Ma a poco a poco pronunciarono anche il suo nome: ‘È morto anche il capo scorta Antonio Montinaro'”.
Negli stessi momenti che io stavo salvando una vita, lui invece la stava perdendo.
Oggi, a distanza di tanti anni, l’amicizia per quel ragazzo alto e magro c’è ancora e più forte che mai nel cuore del commissario Murtas, il quale, grazie alle istituzioni trevigliesi e agli esponenti di Libera ha finalmente visto realizzato il sogno di dedicare all’amico scomparso una strada con tanto di lapide incisa e una quercia piantata vicino, a ricordare così l’eroismo di Antonio, che pur cosciente del grave rischio, non si era mai tirato indietro dal proteggere il giudice Falcone, anche fino all’estremo sacrificio.